Accanimento terapeutico: stabilire i confini nelle cure ai malati terminali.
Scopri di più sul tema dell’accanimento terapeutico trattato durante il Congresso organizzato dall’ASCO lo scorso giugno. A cura del dr. Girelli, specialista in radioterapia oncologica.
Accanimento terapeutico: di cosa si tratta
Dal 3 al 7 giugno scorso la città di Chicago ha ospitato il meeting organizzato dal Congresso Nazionale dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology), l’associazione Americana di Oncologia Clinica; questa importante associazione ha un equivalente in Italia che si chiama AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Dal momento che l’ASCO è la più grande associazione oncologica del mondo, ne consegue che il suo Congresso riveste un valore che oltrepassa i confini degli Stati Uniti. Tra le numerose comunicazioni una è mi è sembrata particolarmente rilevante; quella presentata da Ronald Chen dell’università del Nord Carolina che riguarda l’accanimento terapeutico. L’accanimento terapeutico, come riporta Wikipedia, consiste nell’esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo. Ormai da anni l’ASCO raccomanda fortemente di evitare il trattamento curativo del paziente affetto da tumore con malattia avanzata e nel contempo di procedere ai trattamenti palliativi volti ad alleviare la sofferenza del paziente. La relazione del Dott. Chen riporta uno studio effettuato su ben 28.371 pazienti, in cui si evidenzia che le raccomandazioni dell’ASCO sull’accanimento terapeutico, fortemente sconsigliato dall’associazione, sono, nei fatti, costantemente disattese negli ospedali americani. I danni di un simile atteggiamento si ripercuotono, in primis, sul paziente stesso che viene sottoposto a cure inefficaci non prive di effetti collaterali, talvolta gravi, sovente per allungare la vita di qualche mese, o di poche settimane. Ritengo che la situazione italiana non si discosti molto da quella americana.
Molta strada deve essere ancora fatta nell’accettare la mattia
Perché avviene questo? La gestione del paziente con malattia avanzata, sovente, coinvolge il medico anche dal punto di vista emotivo: per certi versi è un po’ come rinunciare a quello per cui si lavora, ovvero curare la persona malata, cercare di guarirla. Talvolta entrano in gioco anche i parenti della persona malata, che non riescono ad accettare la morte di un proprio caro e si rivolgono al medico cercando disperatamente un’ultima cura. Non è mai facile rinunciare alle cure tradizionali per passare a quelle palliative. La relazione del dott. Chen dimostra che molta strada deve essere ancora fatta nell’accettare la malattia in tutte le sue sfaccettature compresa l’impossibilità di guarigione.